Alla fine degli anni ’70, grazie anche alle pressioni del Regno Unito e della comunità internazionale, Ian Smith venne costretto ad un negoziato e nel marzo 1978 siglò un accordo coi leader moderati Ndabaningi Sithole e Abel Muzorewa per il trasferimento dei poteri alla maggioranza nera; l’ex colonia venne chiamata Zimbabwe Rhodesia.
 
Il presidente di questa temporanea realtà politica, che avrebbe dovuto portare il paese verso una definitiva indipendenza, fu il vescovo anglicano, ed esponente moderato dei ribelli, Abel Muzorewa.
 
Nel 1980 lo Zimbabwe assunse il nome attuale e la sua indipendenza venne riconosciuta dalla comunità internazionale; nello stesso anno si tennero anche le prime elezioni a suffragio universale del paese, che videro la vittoria di Robert Mugabe, leader dello ZANU, a capo del governo, mentre Canaan Banana venne eletto presidente.
 
Inizialmente i bianchi riuscirono a mantenere qualche deputato in parlamento ma vennero via via estromessi dal potere politico; Mugabe, forte del consenso internazionale, limitò loro la possibilità di azione e Ian Smith si ritirò prima a vita privata e poi si rifugiò in Sudafrica.
 
Il governo di Mugabe fu chiaramente di ispirazione marxista-leninista senza però rinunciare a qualche concessione liberista.
 
Tutti gli anni ’80 furono caratterizzati da un violento conflitto raziale tra gli Shona al governo e gli Ndebele, accusati da Mugabe di aver appoggiato, o comunque tollerato, il governo bianco di Ian Smith; solo nel 1988 le due fazioni trovarono un accordo e i due partiti rivali, lo ZANU e lo ZAPU, si unirono in un unico partito, lo ZANU-PF.
 
Ma in realtà questo fu un escamotage di Mugabe per ottenere il ritiro di Joshua Nkomo e per estromettere gli Ndebele dalla scena politica; questo fece si che l’etnia di appartenenza di Mugabe, e in particolare il suo clan, consolidarono il loro dominio e si diffuse tra i bianchi il seguente motto: “Mugabe il liberatore? Chiedete agli Ndebele”.
 
Quando nel 1987 terminò il mandato settennale di Canaan Banana, Robert Mugabe si autoproclamò presidente con pieni poteri esecutivi, eliminando di fatto la carica di primo ministro.
 
Nelle successive tornate elettorali Mugabe venne sempre riconfermato, accrescendo sempre di più il suo potere e i suoi atteggiamenti demagogici e repressivi nei confronti degli oppositori.
 
Dalla seconda metà degli anni ’90 ad oggi Robert Mugabe si è scagliato in particolare contro i bianchi e contro i suoi oppositori riuniti nel MDC, Movement for the Democratic Change, guidato da Morgan Tsvangirai.
 
I bianchi sono stati colpiti soprattutto dal punto di vista economico, infatti molti di loro sono stati espropriati delle loro proprietà, in particolare delle terre; costringendoli di fatto ad emigrare.
 
In questo modo però il paese è stato privato di un’infrastruttura economica e questo lo ha fatto precipitare in una crisi profonda con un’inflazione spaventosa e la scarsità di generi alimentari.
 
Il governo di Mugabe è stato inoltre accusato di violazioni dei diritti umani in diverse occasioni, soprattutto a discapito delle etnie rivali.
 
Nel 2008 il paese toccò il fondo, l’inflazione registrò un tasso di crescita del 7000%, vennero interrotte le attività produttive e la popolazione affamata era ormai ridotta allo stremo; nonostante questo Robert Mugabe venne rieletto al vertice del paese con innumerevoli episodi di violenza e sospetti di brogli.
 
L’intervento delle forze internazionali, bloccarono i primi tentativi rivoluzionari della popolazione, fu sospesa la moneta e la banca dello Zimbabwe, viene introdotto il dollaro statunitense.
 
Mugabe restò al potere come Presidente ma il leader di MDC Morgan Tsvangirai, fu nominato Primo Ministro.
 
Il Paese negli anni seguenti, grazie soprattutto agli aiuti umanitari internazionali, si è ripreso, iniziando una lenta ripresa; nel 2013 Mugabe si riconferma al potere, suscitando ancora gravi accuse da parte dell’opposizione in merito a brogli ed irregolarità.
 
Il futuro del paese è incerto e molti si chiedono quale potrà essere lo scenario del dopo Mugabe.