La città di Cape Coast in Ghana è un luogo interessante, dal ricco passato coloniale, che è facilmente riconoscibile nei vecchi palazzi, e soprattutto nel forte, che sorge sulla scogliera dove si infrangono le potenti onde dell’Oceano Atlantico.

Il porto dei pescatori brulica di gente, impossibile non notare la frenetica attività dei pescatori e delle donne che preparano il pescato per il mercato e per l’affumicatura.

Cape Coast è nata sulla sponda est della laguna Fosu e, nel corso dei secoli, durante il periodo coloniale, ha visto alternarsi al suo comando i portoghesi, i danesi, gli svedesi, gli olandesi ed infine gli inglesi, che qui stabilirono il quartier generale della Britain’s Royal African Company nel 1664; successivamente Cape Coast divenne la prima capitale della colonia britannica della Gold Coast.

Cape Coast è conosciuta anche con i due vecchi nomi tradizionali locali: Kotokuraba e Oguaa.

Kotokuraba significa “fiume di granchi” e fa ovviamente riferimento all’abbondanza di queste creature nella zona, crostacei molto apprezzati per le loro carni dolci.

Oguaa deriva dalla parola Akan “gua” che significa “mercato” e il nome suggerisce l’importanza del villaggio come centro di scambio, già prima dell’arrivo degli europei.

L’importanza di Cape Coast risiedeva proprio nell’essere il punto di incontro tra le rotte marittime delle potenze europee e le antiche vie terrestri per il commercio con il Sahel.

La grande quantità di oro, che si trovava in questa zona d’Africa, era ciò che attraeva principalmente le potenze europee, e molti indigeni di Cape Coast usarono a loro vantaggio questa smania di oro.

In cambio dell'oro e del legname, in special modo del mogano, e di altri oggetti locali, gli indigeni ricevevano vestiti, coperte, spezie, zucchero, seta e molti altri oggetti; il mercato in cui avvenivano questi scambi era proprio a Cape Coast.

Nel corso del tempo le merci scambiate originariamente vennero sostituite dagli schiavi, che venivano venduti ai mercanti europei dagli indigeni, che rastrellavano le persone nell’entroterra per poi venderle sulla costa.

Il castello di Cape Coast è oggi la maggiore attrazione della città e fu il luogo dove gli schiavi, giunti fino a qui dalla Nigeria e dal Burkina Faso, venivano portati e reclusi, prima di venire imbarcati sulle navi dirette verso le Americhe.

Il castello è ora un sito Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco e racchiude al suo interno un museo molto ben realizzato dedicato alla tratta degli schiavi e al periodo coloniale; inoltre è possibile sperimentare in prima persona gli angusti ambienti dove gli schiavi venivano ammassati in attesa di salpare per un destino incerto.

I primi ad erigere un forte in questo luogo furono i portoghesi, che avevano battezzato la costa Cabo Corso, però abbandonarono successivamente il forte a favore di altri porti, furono quindi gli svedesi nel 1652 a occupare l’area ed il forte; solo sei anni dopo furono i danesi a conquistare il forte grazie ad un accordo con un capo locale.

Furono poi gli olandesi, che all’epoca erano la potenza europea dominante nella regione, a fare di Cape Coast un importante centro del commercio degli schiavi.

A seguito della guerra anglo-olandese del 1664-65, vinta dall’impero britannico, Cape Coast divenne un punto chiave del Golfo di Guinea e il castello venne ulteriormente ampliato, le sue segrete sotterranee arrivarono a contenere fino a 1500 schiavi, facendone di fatto il più grande centro dell’Africa Occidentale per la tratta degli schiavi.

Durante l’epoca coloniale Cape Coast fu il luogo dove migliaia di persone vennero vendute ai mercanti bianchi, soprattutto da parte del regno Ashanti, in cambio di alcool e armi.

Il castello è una costruzione bianca che affaccia su un ampio cortile, aperto sull’Oceano Atlantico, dove aveva luogo il mercato sia di merci che di uomini, durante i giorni di mercato ordinario non c’era traccia del commercio di essere umani, che venivano tenuti segregati nei sotterranei della fortezza.

Il bianco della costruzione, il cortile con cumuli di vecchie palle da cannone e le mura accarezzate dalla brezza dell’oceano fanno di questo luogo un posto affascinante e piacevole e questo contrasta molto con il suo oscuro passato.

Scendendo nelle segrete si trovano tre grandi stanze dove venivano ammassati gli schiavi, per un periodo variabile dalle 2 alle 12 settimane, prima di essere imbarcati.

Nellee celle umide e buie uomini e donne erano tenuti separati; ancora oggi questi spazi hanno il pavimento ricoperto da una sostanza che, a seguito delle analisi effettuate, è risultata essere sangue, feci e sabbia cementificate tra loro.

Infatti quando gli schiavi uscivano per essere imbarcati, le celle non venivano pulite ma veniva gettata della sabbia sopra gli escrementi ed il sangue, prima di far entrare il nuovo gruppo di schiavi e questo venne fatto per anni e anni.

Si può solo immaginare le condizioni in cui vivevano gli sfortunati che finivano qui sotto al buio, senza bagni e senza la possibilità di muoversi da tanto venivano stipati.

La cella dove venivano incarcerati gli schiavi condannati a morte è la più claustrofobica, alcuni infatti non volevano soggiogarsi ai voleri degli schiavisti e quindi il loro destino era segnato; oggi appena fuori dall’ingresso del forte è stato posizionato un altare vudù per placare gli spiriti di coloro che non uscirono più da quelle mura.

Gli schiavi venivano condotti, grazie ad un corridoio sotterraneo, fino alla Porta del Non Ritorno, questa era l’ultima tappa della loro permanenza nel forte prima di prendere la via del mare, era una angusta e stretta porta che obbligava gli schiavi ad uscire uno alla volta per essere meglio controllati.

Si può immaginare quale sia stato l’effetto della luce del sole per i loro occhi, abituati da settimane al buio nelle segrete sotterranee.