La giornata di oggi prevedeva il trasferimento dal Parco Nazionale di Tarangire al Lago Eyasi; abbiamo deciso di non seguire la strada principale, che per oltre la metà del percorso sarebbe stata asfaltata, noi invece abbiamo preferito prendere una strada secondaria e attraversare le terre di due popolazioni: gli Iraqw, o Mbulu, e gli Mbugwe.

Entrambe queste popolazioni occupano le terre che si trovano tra il Parco Nazionale di Tarangire, il Parco Nazionale del Lago Manyara, la scarpata della Great Rift Valley e arrivano fino al Lago Eyasi.

Uscendo dalla zona del Tarangire si incontrano le prime abitazioni e i villaggi delle popolazioni, che sfruttano i terreni chiusi tra i due parchi nazionali per allevare il proprio bestiame e per coltivare.

La strada, che corre parallela al confine del Parco Nazionale del Lago Manyara, è il palcoscenico perfetto per assistere allo svolgimento della vita quotidiana degli Mbugwe, scandita dalle attività di pesca, dalla agricoltura e della produzione di cesti e stuoie, ottenute dall’intreccio di fibre vegetali.

Lungo la strada si incontrano numerosi laboratori che vendono oggetti, realizzati dall’intreccio di fibre, dalle donne Mbugwe; oltre a prodotti di uso quotidiano, come i cesti di varie dimensioni, vendono grossi tappeti circolari e ovali che vengono acquistati sia dai pochi viaggiatori che si avventurano in queste terre, sia dai lodge e i campi tendati per arredare le stanze e le tende, sono prodotti molto belli dai colori vivaci.

Gli Mbugwe sono un popolo che vive in una sorta di isolamento linguistico, il ceppo da cui deriva la loro lingua è completamente differente da quello delle popolazioni confinanti.

Oltre che per la lingua parlata, gli Mbugwe sono riconoscibili dalle caratteristiche fisiche, soprattutto dai grandi buchi ai lobi delle orecchie e due profonde marcature facciali.

Lasciata la strada principale abbiamo svoltato a destra e seguiamo una strada secondaria, che si arrampica ripida su per la scarpata della Rift Valley e, una volta giunti sull’altopiano, attraversa le terre coltivate degli Iraqw, o Mbulu; in un paesaggio che ricorda in parte le nostre montagne.

La strada sterrata ci accoglie con il tipico tremolio, è quasi come se quel rumore e quelle vibrazioni fossero in grado di rilassare il corpo e la mente, il paesaggio è fantastico e, man mano che si procede, la strada inizia a salire sempre di più.

Salendo sulla scarpata della Great Rift Valley si aprono scorci sulla pianura sottostante e sul Lago Manyara che luccica alla luce del sole.

Gli Iraqw, o Mbulu, sono una popolazione di abili contadini, hanno realizzato infiniti terrazzamenti per poter coltivare sui pendii, la loro tecnica di terrazzamento e di irrigazione, unita al clima equatoriale della Tanzania, gli permette di avere dai due ai tre raccolti l’anno.

Gli Iraqw sono una popolazione di origine cuscitica, le loro caratteristiche fisiche e i loro lineamenti sono a metà strada tra quelli delle popolazioni bantù e quelli delle popolazioni asiatiche: gli occhi un po’ allungati, il colore della pelle è più chiaro e i lineamenti sono meno marcati, ad esempio non hanno il naso e le labbra pronunciati; assomigliano molto di più agli etiopi che alle altre popolazioni della Tanzania che si trovano in questa regione.

Gli Mbulu sono giunti in questa zona della Tanzania dopo lunghe migrazioni, risalendo alle loro origini si ritiene che l’ultima migrazione avvenne dal nord del Kenya e dall’Etiopia.

Il territorio degli Iraqw è ben mantenuto, pulito e ordinato, lungo la strada si incontrano i pastori che accompagnano le mandrie al pascolo, gli agricoltori che coltivano i campi o che vendono i loro prodotti, i bambini che tornano da scuola nelle loro divise ordinate e le donne indaffarate in mille faccende.

I villaggi dispersi sul territorio sono costituiti da capanne e abitazioni più moderne circondate dal terreno che viene coltivato, per gli Mbulu il villaggio è l’unità alla base della loro società e vige una regola di mutuo soccorso tra i villaggi.

La vegetazione è lussureggiante, l’abbondanza delle piogge rende la zona verdissima e fertile.

Sull’altopiano in passato si stabilirono anche i colonizzatori europei, e a testimonianza di questo, qui si trova la più grande chiesa cattolica di tutta la Tanzania, che venne costruita dai tedeschi, durante il periodo in cui la Tanzania continentale era una loro colonia.

Nonostante il cristianesimo sia presente in queste zone da tempo, gli Mbulu continuano a seguire le antiche credenze religiose tradizionali, inoltre praticano la stregoneria; le persone dedite a questa arte, si occupano di propiziare le piogge e di conseguenza raccolti abbondanti.

Il nostro percorso alternativo si ricongiunge alla strada principale nei pressi di Karatu, una cittadina che funge da riferimento per le provviste e per il carburante per tutta la zona circostante.

Da Karatu un’altra strada sterrata scende fino alle sponde del Lago Eyasi, qui lo scenario è completamente differente, dalla lussureggiante vegetazione incontrata in precedenza si passa ad un terreno più arido e secco.

Stiamo entrando in quelle che una volta erano terre dominate dai Datoga e dagli Hadzabe, oggi, a causa delle numerose fattorie che producono le cipolle rosse, in questa zona si sono riversate numerose persone, appartenenti a gruppi etnici differenti, inclusi gli Iraqw.

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On the road - Photo Credits: Silvano Greco

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Serengeti National Park: Hyena - Photo Credits: Romina Facchi

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Arusha National Park: Flamingos - Photo Credits: Romina Facchi

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Tarangire National Park: elephants - Photo Credits: Romina Facchi

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Datoga People - Photo Credits: Romina Facchi

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Hadzabe people - Photo Credits: Romina Facchi

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Ngorongoro Crater: Rhino and calf - Photo Credits: Romina Facchi

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Serengeti National Park: Lions at Ndutu area - Photo Credits: Romina Facchi

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Lake Manyara National Park - Photo Credits: Romina Facchi

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Maasai people - Photo Credits: Stefania Maggioni