Le sponde del lago Eyasi rappresentano le ultime terre abitate dai Datoga, una popolazione di origine nilotica che progressivamente si sta riducendo di numero, in conseguenza delle politiche governative, che favoriscono i matrimoni misti fra gruppi etnici differenti, la scolarizzazione, che cancella le tradizioni locali, all’immigrazione di altri gruppi nelle loro terre ancestrali e alle lotte che in passato videro i Datoga fronteggiare i Masai ed uscirne sconfitti.

I Datoga sono un popolo molto interessante, mantengono vive le loro tradizioni e le loro credenze e costruiscono i villaggi esattamente come facevano i loro avi.

Le donne Datoga sono belle e aggraziate, alcune di loro portano sul volto il tradizionale tatuaggio a forma di mascherina attorno agli occhi; purtroppo però questa tradizione si sta perdendo nelle nuove generazioni; il tatuaggio il realtà viene realizzato con delle scarificazioni, più o meno profonde, che vengono incise sul volto e che spesso si possono infettare, causando dolorose conseguenze.

Il villaggio Datoga, che visitiamo presso il lago Eyasi, è una sorta di fattoria costruita seguendo i precetti della tradizione, le capanne e le aree dedicate al lavoro sono circondate da una recinzione, che è stata creata utilizzando i rami di acacia che, grazie alle lunghe spine, creano una barriera invalicabile agli umani e agli animali; al villaggio si accede da una piccola apertura nel recinto, che viene chiusa durante la notte.

Le donne ci accolgono cantando una canzone allegra, per i Datoga i visitatori sono sacri, ritengono che portino fortuna e prosperità al villaggio e sono contenti se qualcuno li visita.

All’interno della recinzione si trovano alcune capanne rettangolari, sono costruite utilizzando rami e fango e, a volte, sterco di mucca, anche il tetto piatto è realizzato allo stesso modo.

La costruzione più grande misura oltre 5 metri di lunghezza, sul tetto sono state piantate alcune piante di aloe, non tanto per un effetto decorativo, ma piuttosto per essere utilizzate nella produzione di una bevanda alcolica.

L’interno della capanna è buio per l’assenza di finestre, la luce entra dall’unica porta che conduce all’esterno, l’ambiente è diviso in due stanze, una piccola, dove si trova il giaciglio del capo villaggio e la zona dove si cucina, e una più ampia, dove dormono alcuni componenti del villaggio e dove viene preparata la farina di mais.

Al centro della stanza si trova una grossa pietra su cui viene posto il mais bianco da ridurre in farina, grazie all’utilizzo di una ulteriore grossa pietra; la farina ottenuta viene utilizzata per cucinare l’ugali, la polenta bianca, base dell’alimentazione di numerose popolazioni dell’Africa Orientale.

Nella stanza ampia si trovano appese alle pareti numerose zucche di differenti misure e forme: le zucche più lunghe e strette vengono utilizzate per conservare e trasportare il latte, quelle grandi e tonde per raccogliere l’acqua, mentre le grandi zucche tagliate a metà, a ricavarne grandi ciotole, vengono utilizzate per mungere il bestiame o per contenere il cibo, infine le più grandi in assoluto vengono utilizzate per produrre il liquore locale il “gesuda”.

Il liquore gesuda viene realizzato con l’agave, le cui foglie vengono lasciate essiccare e successivamente vengono tagliate a pezzetti, vengono riposte in un recipiente ricavato da una zucca; a questo punto viene aggiunta l’acqua, le radici dell’agave e il miele.

Il contenitore viene successivamente posto vicino al fuoco per due o tre giorni, trascorsi questi giorni di lenta cottura il liquore è pronto e viene utilizzato durante le cerimonie; tipicamente matrimoni o funerali.

Gli uomini Datoga si occupano della gestione delle mandrie e della lavorazione del ferro, sono infatti un popolo di abili fabbri e realizzano diversi utensili e monili, che vengono sia utilizzati nell’economia della fattoria sia scambiati con altre popolazioni.

Per lavorare il metallo i Datoga utilizzano due fuochi differenti, un fuoco realizzato con il carbone, che raggiunge temperature più alte, e viene utilizzato per fondere i vari pezzi di metallo che vengono recuperati da materiale di scarto, e un fuoco realizzato con sterco di elefante e di mucca, dalla temperatura più bassa, per modellare e per le lavorazioni di fino del metallo stesso.

Per fondere il materiale ferroso o l’alluminio vengono utilizzati due grossi mantici che mantengono vivo il fuoco sui carboni, quando il metallo giunge a fusione viene versato in un contenitore  per dargli la forma e raffreddato in acqua.

Alcuni materiali sono troppo duri per essere fusi quindi vengono lavorati a freddo, ad esempio per realizzare la punta di una freccia a volte viene utilizzato un vecchio chiodo lungo circa 15 centimetri, viene battuto a freddo, con l’ausilio di un grosso martello e di una incudine, e, dopo circa 30 minuti di lavoro, la punta è pronta.

Vengono realizzate soprattutto punte per le frecce, munite di una serie di uncini, che vengono vendute agli Hadzabe, in cambio di miele o di soldi, per cacciare i babbuini, gli uncini non permettono infatti che l’animale possa rimuovere la freccia una volta che viene colpito.

Salutiamo questa famiglia che per qualche ora ci ha accolto nella loro casa, facendoci conoscere qualcosa di più sulle loro tradizioni, il capo villaggio ci saluta calorosamente e noi ricambiamo in lingua locale con un suono che ricorda il “see you” inglese.

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On the road - Photo Credits: Silvano Greco

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Serengeti National Park: Hyena - Photo Credits: Romina Facchi

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Arusha National Park: Flamingos - Photo Credits: Romina Facchi

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Tarangire National Park: elephants - Photo Credits: Romina Facchi

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Tanzania on the road - Photo Credits: Romina Facchi

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Hadzabe people - Photo Credits: Romina Facchi

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Ngorongoro Crater: Rhino and calf - Photo Credits: Romina Facchi

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Serengeti National Park: Lions at Ndutu area - Photo Credits: Romina Facchi

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Lake Manyara National Park - Photo Credits: Romina Facchi

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Maasai people - Photo Credits: Stefania Maggioni