Nelle zone più remote, inaccessibili e boscose, in prossimità delle sponde del Lago Eyasi, vive una popolazione primitiva, che ha rifiutato il progresso e l’eccessivo contatto con le altre etnie: gli Hadzabe.

La strada che ci porta nei pressi del rudimentale campo di questo clan di Hadzabe è una strada sterrata in condizioni non ottimali, Tracks4Africa incredibilmente ce l’ha indicata, ma ad un certo punto si arrende e, se non fosse per la guida locale che ci accompagna, non avremmo mai trovato il campo.

Anche perché gli Hadzabe sono un popolo nomade, si spostano in base alle risorse che trovano, sono un popolo di cacciatori raccoglitori e, quando l’area dove sono accampati è stata sfruttata, si spostano altrove.

Giunti al campo notiamo solo pochi rifugi piuttosto spartani, costituiti da rami intrecciati e ricoperti con foglie e corteccia di baobab; inoltre è presente una cavità nella roccia.

Durante il giorno uomini e donne vivono separati, iniziamo a conoscere il gruppo di uomini, che si trovano nell’anfratto roccioso, sotto uno sperone di roccia sporgente; saliamo lungo un sentiero finché non arriviamo dove si trova un gruppetto di ragazzi che si riparano all’interno della grotta naturale, non è chiaro cosa stiano facendo ma la nostra attenzione ricade subito sul modo in cui sono vestiti.

I più giovani sono a torso nudo mentre i più grandi indossano la pelle di un babbuino, la preda più ambita dagli Hadzabe.

Salutiamo in lingua locale “ntana bawa” ogni singolo individuo, che risponde e ci stringe la mano.

E’ difficile comunicare perché non parlano altro che la loro lingua, che, come la lingua dei San in Africa Meridionale, è costituita da numerosi suoni simili a click; la nostra guida locale traduce e cerchiamo di capire qualcosa di più sul loro modo di vivere così primitivo.

La vita degli uomini è incentrata sulla caccia: gli uomini cacciano essenzialmente utilizzando arco e frecce, ci illustrano le varie frecce che vengono utilizzate a seconda delle prede cacciate, frecce di legno appuntito, frecce con punte di ferro e punte di ferro avvelenate.

Per i piccoli animali, come ad esempio gli uccelli, posizionano una pannocchia appena sotto la punta, per non far entrare troppo la freccia nel corpo.

Per cacciare i babbuini usano frecce dalla punta di ferro con piccoli uncini per evitare che il babbuino si strappi via la freccia quando viene colpito; il colpire la preda è solo la prima parte della caccia, il più delle volte il colpo non è fatale e gli Hadzabe devo inseguire la preda per finirla.

Anche il veleno che utilizzano, ricavato dalla pianta succulenta Adenium obesum o Rosa del Deserto (Desert Rose), non ha un effetto immediato sulla preda, quindi, a volte, è necessario seguire l’animale per ore, prima che crolli sotto l’effetto del veleno.

La carne di un animale cacciato col veleno non viene consumata subito ma viene lasciata essiccare, affinché il veleno non sia pericoloso per gli Hadzabe; comunque esiste un antidoto per il veleno dell’Adenium obesum, e viene ricavato dall’Agave siselana, conosciuta anche con il nome di Oldupai, poiché è molto comune nella gola di Oldupai, o Olduvai.

Per gli Hadzabe tutti gli animali sono possibili prede, ad eccezione di due animali considerati tabù, le iene e i serpenti.

I serpenti sono considerati tutti velenosi e quindi vengono evitati, sfugge a questa regola solo il pitone delle rocce che viene regolarmente cacciato.

Le iene non sono oggetto di caccia perché sono considerate animali “sacri” poiché, quando un elemento del clan muore, gli Hadzabe non seppelliscono il cadavere, ma lo abbandonano sul terreno e spostano il campo; credono che il corpo abbandonato venga divorato dalle iene.

I ragazzi ci mostrano come accendono il fuoco, utilizzando due bastoncini di legno e dell’erba secca; allo stesso modo accendono il tabacco che fumano utilizzando pipe di legno decorate.

Scendiamo poi ad incontrare le donne Hadzabe, le salutiamo dicendo “ntana aia” il saluto che viene utilizzato per le donne.

Le donne si occupano della raccolta dei frutti della terra, conoscono alla perfezione l’ambiente in cui vivono e lo sanno sfruttare al massimo, dalla Commiphora africana ricavano delle bacche che fanno essiccare e che vengono usate per la medicina tradizionale, raccolgono il miele dagli alveari, mentre dalla pianta del baobab ricavano numerosi prodotti, ad esempio le foglie vengono mangiate, le radici vengono usate nella medicina tradizionale, i frutti sono una fonte preziosa, solitamente si mangia la polpa oppure si può ottenere un succo molto proteico, infine dalla corteccia ricavano il materiale per coprire le “capanne” e i ripari.

Ci mostrano come identificare gli alberi sotto cui crescono le beetroot, una specie di rape bianche che mangiano crude e che hanno un grande apporto d’acqua e di nutrienti.

Una volta identificato l’albero, le donne iniziano a scavare a mani nude o con l’aiuto di un bastone, le radici o rape edibili si trovano ad una profondità di circa 40 o 50 cm.

Assaggiamo le rape ma non sanno praticamente di nulla ma agli Hadzabe sembrano piacere molto e le divorano voracemente.

Torniamo al villaggio e chiediamo alla nostra guida in cosa credono gli Hadzabe e se hanno dei riti: lui ci spiega che non hanno rituali e particolari credenze religiose, credono solo nel dio sole, al mattino il dio si sveglia e al tramonto va a dormire e durante la giornata fornisce loro la luce e il calore.

Anche i riti e le feste sono praticamente assenti, l’unica festa che viene celebrata è quando riescono a cacciare una grande antilope, un bufalo o una giraffa; in questo caso l’accampamento si sposta nei pressi della preda per consumarla.

La figura del capo villaggio viene ricoperta dal cacciatore migliore, ma non esiste una vera gerarchia sociale.

I gruppi di Hadzabe non sono composti da una unica famiglia, ma sono un clan costituito da differenti famiglie, i matrimoni non vengono accompagnati da feste o rituali, l’unica forma di contratto consiste nei doni che lo sposo deve presentare alla famiglia della sposa: 20 chili di miele, un maschio di babbuino e un maschio di kudu.

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On the road - Photo Credits: Silvano Greco

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Serengeti National Park: Hyena - Photo Credits: Romina Facchi

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Arusha National Park: Flamingos - Photo Credits: Romina Facchi

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Tarangire National Park: elephants - Photo Credits: Romina Facchi

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Tanzania on the road - Photo Credits: Romina Facchi

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Datoga People - Photo Credits: Romina Facchi

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Ngorongoro Crater: Rhino and calf - Photo Credits: Romina Facchi

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Serengeti National Park: Lions at Ndutu area - Photo Credits: Romina Facchi

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Lake Manyara National Park - Photo Credits: Romina Facchi

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Maasai people - Photo Credits: Stefania Maggioni