L’isola di Kubu, o Lekhubu, si trova nel Sua, o Sowa, Pan, che a sua volta fa parte del complesso dei Makgadikgadi Pans, in Botswana; questo è il complesso di laghi salati più grande del mondo e copre una superficie di circa 12.000 kmq.

Durante la stagione delle piogge, se queste sono abbondanti, parte di questi bacini salati si riempiono di acqua e danno vita a degli specchi d’acqua temporanei, in particolare nella parte nord, dove vengono alimentati da alcuni fiumi; mentre durante la stagione secca l’acqua evapora, lasciando sul fondo una crosta di sale che impedisce alla vegetazione di crescere.

Il Sua Pan, o Sowa, che significa “sale” in lingua Setswana, si trova nella parte orientale del complesso dei Makgadikgadi Pans ed è separato dal Ntwetwe Pan, che si trova nella parte occidentale, da una striscia di terra erbosa che si trova più elevata rispetto alle depressioni salate.

Il primo europeo ad aver narrato di questi luoghi fu David Livingstone, che attraversò questi luoghi durante una sua spedizione; da quei tempi qui è cambiato ben poco, questi luoghi hanno mantenuto quella magia e quella bellezza primitiva che tanto colpì il noto esploratore.

Kubu Island si trova nella parte occidentale del Sua Pan ed è un luogo incantato, quando abbiamo scoperto la sua esistenza, abbiamo subito desiderato venirci.

Noi proveniamo da sud, dal Khama Rhino Sanctuary vicino a Serowe, e ancora prima dal Sudafrica; transitiamo quindi dalla cittadina di Letlhakane, che costituisce una buona base, l’ultima, per fare provviste e il pieno di carburante, prima di avventurarsi all’interno dei Pan.

Da qui una strada secondaria si dirige verso nord, i primi 12 km sono asfaltati, dopo di che l’asfalto lascia il posto allo sterrato, finalmente!

Il fondo della pista è costituito da sabbia sottile e bianca, queste erano le sponde e la spiaggia del lago, che si presume che fosse presente qui millenni di anni fa; accanto alla pista sono presenti diversi arbusti.

Dopo circa 25 km superiamo il villaggio di Mmatshumo, subito dopo si trova una costruzione in legno, è una torre panoramica costruita per poter permettere di vedere la distesa salata; saliamo e davanti ai nostri occhi si apre una vista spettacolare, non vediamo l’ora di arrivare con l’auto sulla depressione salata

Proseguiamo e poco dopo infatti ci siamo, di fronte a noi solo un’infinita distesa salata di un bianco quasi accecante; per fortuna oggi c’è qualche nuvola altrimenti il sole sarebbe insopportabile.

Scendiamo lungo quello che una volta era il bagnasciuga del grande lago e ci ritroviamo sulla crosta salata e il sale scricchiola sotto i nostri pesanti pneumatici; percorriamo qualche metro e poi ci fermiamo, intorno a noi c’è un silenzio surreale, solo il rumore del vento, uno spettacolo ed una emozione difficile da descrivere.

E’ importante non avventurarsi sul pan salato a caso, ma è bene seguire la pista principale, anche durante la stagione secca; potrebbero infatti rimanere alcune aree più umide, non visibili se non quando è troppo tardi e si resta impantanati.

Percorriamo la strada principale e, poco dopo, attraversiamo il recinto veterinario (Vet Fence), che isola gli animali selvatici dal bestiame, in modo che quest’ultimo non possa venire contagiato da malattie, ma evita anche episodi di conflitto tra l’uomo e la natura; alcuni ambientalisti stanno studiando l’impatto che questo recinto ha avuto sulla migrazione degli erbivori in questi luoghi e le opinioni sulla sua necessità o dannosità sono un po’ controverse.

Da qui, solo durante la stagione secca, si può prendere la scorciatoia che attraversa una parte del pan salato e si dirige verso nord est, diretta a Kubu Island; noi percorriamo questa strada perché ci siamo assicurati che tutto il tracciato sia asciutto.

Quando mancano 10 km vediamo all’orizzonte il profilo di alcuni baobab, eccola finalmente; che emozione!

Procediamo e, man mano che ci avviciniamo, vediamo Kubu Island nella sua bellezza.

Veniamo accolti da alcuni immensi e nodosi baobab, che pare abbiamo 4.000 o 5.000 anni, sono spettacolari e maestosi; ci guardiamo intorno e vediamo solamente il bianco del sale tutto intorno a noi.

E’ quasi l’ora del tramonto e quindi andiamo a prendere posizione nel campeggio che si trova nella parte occidentale dell’isola; parcheggiamo, ci sistemiamo, ci rilassiamo e poi accendiamo il fuoco e ci cuciniamo la cena.

Il campeggio è molto spartano, poiché vogliono preservare al massimo l’ecosistema dell’isola; il ranger che è venuto a controllare i nostri documenti ci ha raccontato che stanno pensando di sposare il campeggio un po’ più lontano nel pan, in modo da non rovinare il fragile ecosistema di Kubu Island.

Kubu Island infatti è un affioramento granitico, alto circa 10 metri e lungo 1 km; in epoca preistorica era circondata dalle acque di un immenso lago che si pensa che esistesse qui circa 15.000 anni fa.

Sono presenti diversi segni sull’isola a prova della sua esistenza, le spiagge fossili, sono stati ritrovati anche alcuni molluschi e diatomee fossili, inoltre sono presenti molti ciottoli che sono stati arrotondati dal moto ondoso delle onde.

Sulle formazioni rocciose dell’isola è presente del guano fossile, questo significa, che in tempi remoti, qui venivano a nidificare molti uccelli, soprattutto acquatici, e questo non sarebbe stato possibile se non fosse stata presente l’acqua.

Su Kubu Island sono stati trovati alcuni reperti archeologici, risalenti all’Età della Pietra, per lo più utensili in pietra affilati.

Inoltre sono presenti i resti di alcune costruzioni, più precisamente delle parti di mura costruite in pietra a secco, che si crede possano essere stati costruiti tra il 1.400 e il 1.600 d.C. e rappresentassero il punto più a sud ovest dell’Impero di Mutapa, o Monomotapa, che aveva la sua capitale a Great Zimbabwe.

Sembra che l’edificio con il muro arrotondato che un tempo era presente qui, fosse il luogo dove venivano effettuate le circoncisioni ai giovani che, attraverso questo rito di passaggio, approdavano all’età adulta; questa tesi è avvalorata anche dal fatto che i giovani del villaggio di Thabatshukudu, si recano ancora oggi qui a Kubu Island in pellegrinaggio.

Il mattino seguente ci svegliamo presto e, dopo colazione, partiamo all’esplorazione dell’isola; una pista percorribile in auto gira tutto intorno al perimetro dell’isola e consente di ammirarla da tutte le sue angolazioni.

Sul lato che si trova verso nord sono presenti alcuni baobab giganteschi ed alcune formazioni rocciose, levigate dagli agenti atmosferici, molto suggestive; scattiamo molte fotografie e scendiamo dall’auto in più punti per avventurarci sull’isola.

Che luogo spettacolare, siamo da soli, di fronte a noi una distesa di sale a perdita d’occhio dove, all’orizzonte, sembra esserci dell’acqua, ma sappiamo benissimo che, in questa stagione non può essere possibile, è quindi un miraggio, creato dalla rifrazione dei raggi solari sulla superficie del pan, che inganna i nostri occhi.

Il silenzio che c’è in questo luogo è qualcosa di indescrivibile ed è rotto solo dal rumore del vento o dallo scricchiolio della scrosta salata che si rompe sotto le suole delle nostre scarpe; vorremmo fermare il tempo e rimanere qui per sempre.

I resti delle mura si trovano nella parte di isola verso sud est, lasciamo l’auto in prossimità dell’immenso baobab che ci ha dato il benvenuto quando siamo arrivati, e proseguiamo a piedi.

Scattiamo diverse fotografie, sia alle mura, sia ai baobab, testimoni silenziosi della storia di quest’isola sperduta e remota.

Facciamo ritorno al campeggio e, quando il sole scende verso l’orizzonte, ci regala uno dei tramonti più belli che abbiamo mai visto.

Ma la natura ha in serbo ancora una sorpresa per noi; quando il sole tramonta e scende l’oscurità, la luce della luna illumina la superficie bianca del pan e il riverbero è così forte che crea le ombre, che spettacolo.

Riusciamo a vedere chiaramente il profilo dei baobab, delle formazioni rocciose e anche quello di una iena bruna che è passata poco lontano da noi.

L’indomani mattina non vorremmo partire, ma la nostra spedizione è solo all’inizio e ci aspettano ancora tante meraviglie da scoprire; partiamo in direzione nord, percorriamo la pista che si trova sul lembo di terra che divide il Sua Pan dal Ntwetwe Pan e, dopo circa 4 ore di strada, arriviamo sulla A3, la strada che collega Nata e Francistown a Gweta e Maun.

Ci siamo lasciati Kubu Island alle spalle e man mano che scompariva nei nostri specchietti retrovisori ci siamo detti che questo è sicuramente un “arrivederci” e non un “addio”.

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Etosha National Park: Etosha Pan - Photo Credits: Romina Facchi

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Our car! - Photo Credits: Romina Facchi

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Soweto: Orlando Power Station Towers - Photo Credits: Romina Facchi

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Khama Rhino Sanctuary: Black Rhino - Photo Credits: Romina Facchi

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Nxai Pan: Baines Baobab - Photo Credits: Romina Facchi

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Central Kalahari Game Reserve: Lion - Photo Credits: Romina Facchi

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Moremi Game Reserve: Leopard - Photo Credits: Romina Facchi

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San people - Photo Credits: Living Culture Foundation 

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Namibia: Mahango National Park - Photo Credits: Romina Facchi

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Etosha National Park: elephants - Photo Credits: Romina Facchi

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Swakopmund - Photo Credits: Romina Facchi

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Skeleton Coast: Ugab Gate - Photo Credits: Romina Facchi

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Windhoek - Photo Credit: Jbdobane

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Kgalagadi: Cheetah - Photo Credits: Romina Facchi

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West Coast National Park: Mountain Cape Zebra - Photo Credits: Romina Facchi

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South Africa: Hermanus - Photo Credits: Romina Facchi

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Cape Town: Waterfront - Photo Credits: Romina Facchi

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Karoo National Park - Photo Credits: Romina Facchi

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Our expedition - Photo Credits: Romina Facchi