Qui milioni di anni fa vivevano i nostri antenati e i reperti che sono stati ritrovati ci raccontano come si svolgesse la loro vita più di 2 milioni di anni fa.
 
E’ emozionante recarsi in questa profonda gola dove è iniziata la storia del genere umano.
 
C’è anche un piccolo museo che mostra tutti i reperti fossili e gli utensili che sono stati ritrovati e che ci aiutano a ricostruire il percorso compiuto nell’evoluzione dal genere umano.
 
Olduvai Gorge è una gola che si trova nella Great Rift Valley, a Sud Est del Serengeti National Park, in prossimità del Lago Masek, entrando o uscendo dal parco dalla zona di Ndutu o da Naabi è possibile visitarla; fa parte dell’Ecosistema del Serengeti e qui, tra dicembre e aprile, si possono trovare le mandrie di gnu e zebre della Grande Migrazione.
 
Dal punto di vista paesaggistico è una gola, come se ne possono osservare molte nel mondo, che si è formata grazie all’erosione degli agenti atmosferici e delle acque del fiume che vi scorre e che contribuisce a formare il Lago Masek; al suo interno è presente anche un monolite simile a quelli che si possono vedere a Monument Valley negli Stati Uniti.
 
Quello che rende unica Olduvai sono i reperti che vi sono stati ritrovati nel corso degli anni, grazie al lavoro sapiente degli archeologici e dei paleoantropologi.
Infatti, in quello che è il più importante sito archeologico della Tanzania, e uno dei più rilevanti dell’intero continente africano, sono stati ritrovati centinaia di ossa fossilizzate e utensili di pietra e osso risalenti appartenuti ai nostri antenati.
 
Proprio grazie a queste scoperte, oltre a quelle della Valle dell’Omo in Ethiopia e a Taung in Sudafrica, è possibile affermare che gli essere umani si sono evoluti in Africa e, di conseguenza, Olduvai viene spesso definita come “la culla del genere umano” ed è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1979 proprio per il valore che rappresenta per la nostra storia.
 
Il nome “Olduvai” deriva da “Oldupai” che in lingua Maa, la lingua dei Masai, identifica la Sisal Selvatica che cresce proprio in questa zona.
La ripida gola di Olduvai ha una lunghezza di 48,2 km e profonda 89,9 metri, queste dimensioni non sono sufficienti per classificarla come “canyon”, ma viene definita come “forra”, ossia una stretta gola tra pareti rocciose ripide scavate da un corso d’acqua.
 
Il sito fu scoperto per caso nel 1911 da un entomologo tedesco, Wilhelm Kattwinkel, che stava inseguendo una farfalla che voleva catturare per studiarla; distrattamente cadde nella gola e quando si riprese si rese immediatamente conto dell’importanza di quella faglia stratificata.
 
Si pensa che milioni di anni fa in questo luogo ci fosse un lago le cui spiagge erano ricoperte da cenere vulcanica; circa 500.000 fa, in seguito a un’intensa attività sismica, il corso di un fiume fu stato deviato nella posizione in cui lo vediamo oggi.
 
Il fiume, nel corso dei millenni, ha compiuto un’opera di erosione, aprendosi la strada tra i sedimenti e portando alla luce sette differenti strati sedimentari nelle pareti della gola.
 
Sono stati portati alla luce così i resti fossili di circa 60 ominidi e coprono un periodo che va dalla comparsa sulla terra degli Australopitechi fino all’Homo Sapiens, ovvero la specie a cui apparteniamo noi.
 
In particolare dai letti fossili di Olduvai è possibile ricostruire gli eventi evolutivi del genere umano; sono identificabili sette grandi unità stratigrafiche che sono state classificate dal più vecchio al più giovane, nel dettaglio:
 
Bed I circa 1,75 milioni a 2,5 milioni di anni fa
Bed II da 1,2 milioni a 1,75 milioni di anni fa
Bed III da 800.000 a 1,2 milioni di anni
Bed IV da 600.000 a 800.000 anni
Masek Bed da 400.000 a 600.000 anni,
Ndutu Bed da 32.000 a 400.000 anni
Naisiusiu Bed 15.000 a 32.000 anni fa
 
Il Bed I, il più antico, ha uno spessore di 60 metri ed è costituito in gran parte da resti di colate di lava, depositi di cenere vulcanica e da sedimenti detritici.
 
Contiene prevalentemente tracce di accampamenti e di utensili realizzati in basalto o quarzo che venivano utilizzati per produrre scintille; questi utensili vengono chiamati “Olduviani” proprio perché sono stati rinvenuti qui a Olduvai.
 
Si pensa che i primi ominidi iniziarono a creare questi utensili circa 2,5 milioni di anni fa.
 
E’ sempre nel Bed I che, nel 1959, l'archeologa di origine inglese Mary Leakey scoprì un frammento di cranio appartenente ad un ominide che il marito, Louis Leakey, chiamò inizialmente Zinjanthropus Boisei, ma che in seguito fu riclassificato come Australopithecus Boisei.
 
Ufficialmente questo reperto fu etichettato OH 5, acronimo di Olduvai Hominid 5, questo Australopiteco è stato anche soprannominato "Uomo Schiaccianoci" a causa dei suoi enormi molari, indicativi di una dieta prevalentemente vegetariana.
 
Sempre nel Bed I sono stati ritrovati i resti, risalenti a circa 1,75 milioni di anni fa, di un esemplare di Homo Habilis, che è ritenuto essere il responsabile della creazione degli utensili ritrovati in questo Bed.
 
Nel Bed II, posizionato immediatamente sopra al Bed I, sono stati ritrovati strumenti più elaborati e sofisticati che sono stati attribuiti all’Homo Ergaster e sono stati datati tra 1,75 e 1,2 milioni di anni fa.
 
Nei Bed superiori, nel III e nel IV, sono stati trovati strumenti e ossa fossili del periodo Acheuleano che risalgono a più di 600.000 anni fa.
 
Negli strati successivi invece sono stati rinvenuti oggetti elaborati dall’Homo Sapiens.
 
Sulla riva della Gola, proprio dove la gola si biforca, a 5 km dalla strada che conduce al Parco Nazionale del Serengeti, si trova il Museo della Gola di Olduvai, creato da Mary Leakey per raccogliere i reperti e i manufatti ritrovati nella Gola stessa e a Laetoli, area che si trova a circa 50km dalla Gola di Olduvai.
 
Una sala è stata dedicata proprio ai Leakey con foto relative ai loro lavori di scavo, inoltre si possono visionare mappe e carte che raccontano il processo di scavo dei fossili.
 
Molti reperti che si trovano nel museo sono originali, altri invece sono calchi, in particolare quelli dei teschi degli ominidi.
 
Un’intera sala è dedicata alle impronte fossili di Laetoli e di carte che spiegano il processo di formazione di queste impronte, oltre a cartine e fotografie dei ritrovamenti.
 

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