Il passato di Ouidah è strettamente legato alla tratta degli schiavi, e qui è ancora possibile percorrere i 4 chilometri che migliaia di uomini e donne hanno percorso incatenati, lasciandosi alle spalle i loro villaggi le loro famiglie e la loro libertà, per un futuro contrassegnato da privazioni, torture e lavoro forzato.

Come una via crucis lungo la via ci sono 5 tappe, la prima è Place Chacha il sito dove si teneva il mercato degli schiavi, uomini e donne venivano condotti sotto il grande albero, ancora presente al centro della piazza e che fu piantato nel 1747 da un re Dahomey; qui avveniva l’asta e gli acquirenti europei e del continente americano cercavano di acquistare coloro che ritenevano essere i migliori per l’uso che ne avrebbero fatto.

Sulla piazza si affacciava il palazzo di Don Francisco De Souza, il famoso mercante di schiavi; originario del Brasile e di umili origini, giunse a Ouidah per cercare fortuna col commercio degli schiavi e in pochi anni divenne il più importante mercanti di schiavi di tutta l’Africa Occidentale.

Dopo essere stati acquistati gli schiavi venivano marchiati a fuoco per poter riconoscere a quale compratore appartenessero e, in seguito, venivano condotti all’Albero dell’Oblio.

Questo albero in realtà non esiste più, è morto tempo fa, ora, al suo posto, si trova una statua che ricorda il luogo dove gli schiavi venivano condotti per far dimenticare loro le loro origini e la loro storia; i compratori infatti facevano loro credere che l’albero avesse il potere di cancellare la loro memoria e togliere loro lo spirito, la drammatica cerimonia consisteva nel girare in senso orario attorno all’albero, 9 volte gli uomini e 7 volte le donne.

Lo scopo di questo rito era i ottenere dei corpi vuoti di spirito, ma questo, per i compratori, non era ancora sufficiente.

Il passaggio successivo consisteva nella segregazione,  gli schiavi venivano incatenati in grandi stanze buie chiamate Zomai, che significa infatti “dove la luce non va”; venivano imprigionati qui per alcune settimane, a volte per mesi, per privarli della forza di ribellarsi e per far perdere loro il percepito del tempo e dell’alternanza del giorno con la notte, in questo modo sarebbero stati disorientati una volta portati all’esterno.

I più forti venivano tenuti 2 settimane bloccati nella stessa posizione, incatenati e con un morso in bocca, al fine di domarli e indebolirli per evitare eventuali ribellioni o alleanze con altri prigionieri.

Molti schiavi, malnutriti e maltrattati, sono morti in attesa di essere condotti a bordo delle navi negriere, all'interno di queste capanne buie e i loro corpi sono stati gettati in una fossa comune dove ora sorge un monumento commemorativo, il Memoriale della Memoria, chiamato anche il Muro di Lamenti, così chiamato perché a volte venivano messi nella fossa persone ancora vive.

I sopravvissuti venivano condotti all’Albero del Ritorno, questo albero è sopravvissuto nei secoli ed è ancora visibile lunga la Strada degli Schiavi; qui si teneva una cerimonia con la quale si garantiva agli schiavi il ritorno della loro anima in patria, sotto forma di spirito, dopo la morte.

Il rituale era piuttosto semplice, uomini e donne dovevano girare attorno all’albero per 3 volte in senso orario.

Completato questo rituale, gli schiavi venivano condotti sulla spiaggia, nel punto dove oggi sorge il monumento della Porta del Non Ritorno, e da li venivano caricati sulle scialuppe che li avrebbero portati alle navi; i più combattivi o disperati, preferivano suicidarsi lanciandosi dalle barche e annegare oppure cercando di ingoiare la propria lingua nell’atto di soffocarsi, piuttosto che partire verso l’ignoto.

Gli schiavi venivano poi stivati sulle navi, fino a 500 per vascello, gli uomini venivano fatti sdraiare a faccia sotto per rendere più faticoso ribellarsi mentre le donne venivano fatte sdraiare sulla schiena, in quel modo era più facile abusare sessualmente di loro; rimanevano in questa posizione per tutta la durata del viaggio, circa 3 mesi di navigazione.

Si ritiene che 15 milioni di schiavi sono giunti nelle Americhe, a questi vanno aggiunti i milioni di uomini e donne che hanno perso la vita ancora prima di partire, i malati e i feriti che venivano lasciati morire, i ribelli che venivano uccisi e a questi si deve aggiungere anche il numero di coloro che si sono suicidati, si può presupporre che la tratta occidentale degli schiavi abbia coinvolto circa 30 milioni di individui.

Circa 2 milioni partirono proprio dal porto di Ouidah, che fu il secondo porto negriero più importante dell’Africa occidentale, dopo Luanda in Angola.

Lungo la via degli schiavi si trovano le statue dei re del regno di Dahomey, ogni re non è raffigurato come una persona ma sotto forma del simbolo o dell’animale che in vita li ha rappresentati; ad esempio vi è la statua di un camaleonte che era il simbolo di un re salito al potere a 60 anni e che, causa l’età, prendeva decisioni molto lentamente, come il movimento di un camaleonte appunto.

L’ultimo re ha come simbolo un piede ed un sasso, questo voleva significare “calciare via i francesi” ma anche più poeticamente che non bisogna cadere ancora in errore, perdonare il passato ma non dimenticare.